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L’attenzione, come concentrazione o consapevolezza
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L’attenzione, come concentrazione o consapevolezza

3 Dicembre 2019

di Tenzin Palmo

L'attenzione, come concentrazione o consapevolezza

L’attenzione, come concentrazione o come consapevolezza

L’attenzione può essere interpretata in due modi:

  • la “concentrazione”, che è ristretta e affilata come un raggio laser,
  • la “consapevolezza“, che è più panoramica.

Si potrebbe prendere ad esempio l’ascolto della musica. Se stiamo veramente ascoltando la musica è come se ne fossimo assorbiti. Per dirla con T.S. Eliott, “la musica udita a fondo non viene udita affatto, bensì noi stessi siamo la musica finché la musica dura.” Questa è la concentrazione. Sapere  invece che siamo assorbiti dalla musica è consapevolezza. Capite la differenza? Quando siamo consapevoli siamo attenti non solo a ciò che facciamo, ma anche ai sentimenti e alle emozioni che nascono in noi e a ciò che ci succede intorno.

Il corrispondente in sanscrito del termine “attenzione” è smriti, in pali è sati e in tibetano drenpa: è significativo che tutti e tre vogliano dire “ricordare“. È ciò che i cattolici definiscono “trovarsi in uno stato di memoria”. Ed è estremamente difficile. Se riusciamo a essere consapevoli per qualche minuto è già tanto. Se “attenzione”  è sinonimo di “ricordare”, ne consegue che il nemico della consapevolezza è la dimenticanza. Possiamo essere consapevoli per qualche breve istante, e poi dimenticarcene. Come possiamo ricordare di ricordare? La questione è questa. Il problema è che viviamo in una terribile apatia. Semplicemente non siamo abituati a ricordare.

Al momento è  come se stessimo guardando attraverso un binocolo fuori fuoco. Quando sperimentiamo qualcosa, lo facciamo attraverso il filtro delle idee, dei preconcetti, del nostro giudizio. Quando ad esempio conosciamo una persona, non la vediamo come è in realtà, ma in rapporto a ciò che pensiamo di lei: a quanto ci piace o non ci piace, a quanto ci ricorda o meno qualcun altro, a quali caratteristiche possiede. Non la conosciamo per se stessa. Ogni cosa che percepiamo è così: tutto ciò che vediamo, mangiamo, udiamo, tocchiamo viene immediatamente reinterpretato rispetto a noi e in conformità con i nostri pensieri ed esperienze.

Ciò che accade in realtà è che viviamo a diversi gradini di distanza dall’esperienza e diventiamo perciò sempre più condizionati, sempre più robotici, sempre più simili ai computer. Qualcun altro “preme i nostri bottoni”, tanto per usare un’espressione azzeccata, e la nostra reazione condizionata è bell’e pronta. Ciò che dobbiamo fare è riportare tutto a fuoco, vedere le cose come sono veramente, come se fosse la primissima volta, “come un bambino che osserva i dipinti nel tempio” per dirla con i tibetani.  Il bambino vede i colori e le forme senza pregiudizi, la sua mente è pura. Questo è lo stato mentale che dobbiamo ottenere nella nostra vita quotidiana. Se impareremo questo, anche senza fare nient’altro, la situazione si trasformerà automaticamente.

 

3 Dicembre 2019
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